"La lotta del drago contro San Giorgio​" di Francesco d'Achille

“San Giorgio e il drago”, Paolo Uccello (1460 ca. - National Gallery di Londra).

Il tema del Santo Martire uccisore di draghi trova la sua origine in una fonte medioevale, quella della Legenda Aurea compilata in latino da Jacopo da Varazze, frate domenicano e vescovo di Genova, a partire dall’anno 1260 circa. La Legenda Aurea si vuole storia dei santi cristiani che con la loro vita esemplare portarono l’umanità sulla strada della salvezza. Il racconto agiografico narra di una città libica, Silena infestata da un drago che uccide con il suo fiato tutte le persone che incontra per la sua strada. La storia vuole che per ammansire la belva feroce le venisse offerto del bestiame e poi con lo scarseggiare di quest’ultimo, esseri umani. Un giorno venne estratta a sorte per il tributo di sangue, la figlia del re della città. A salvare la principessa fu San Giorgio, cavaliere cristiano che salito a cavallo e difesosi con la croce riuscì a liberare la principessa e la città dalla belva famelica. La storia diventò ben presto un tema celebre dell’agiografia medioevale ripresa nell’iconografia e nella pittura in moltissime varianti.

In termini visivi il quadro (dipinto olio su tela / 57X73cm.) riecheggia il tema della lotta del bene contro il male. Il dualismo di fondo che lo organizza si proietta anche sulla tela, divisa virtualmente da una linea verticale che lo taglia in due parti. La parte del male è caratterizzata, a sinistra, dalla figura del drago, ferito a morte e sanguinante, fuori dall’antro che gli fa da tana, con al fianco la fanciulla che lo tiene al “guinzaglio” (come vuole la leggenda) con la cinta del Santo. A destra, sono visibili, invece, San Giorgio sul suo cavallo bianco con la sua lunga e finissima lancia, sormontato da una nube “a spirale” che sembra rappresentare tanto il vigore guerriero del Santo, quanto l’ira di Dio. San Giorgio è il simbolo, “calato nella storia”, della fede cristiana che sconfigge il mostro “pagano”. Il dipinto sembra suggerire, tuttavia, anche l’ideale metafisico della lotta vittoriosa dell’anacoreta sugli istinti sensuali. Non a caso la figura di San Giorgio è simbolo tanto degli ideali cavallereschi quanto di quelli monacali ed esicastici.

Il tema della “lotta contro il drago” risale a origini molto lontane. Se si confrontano su questo tema le mitologie di area greca, sumera e babilonese o anche i “racconti di fate” di area baltica, possiamo individuarne delle tracce già in età arcaica. Il tema cristiano di San Giorgio e il drago sembra rappresentare, in qualche modo, lo stadio più recente e anche l’esito ultimo di una leggenda e di un’icona che ha avuto molta fortuna in Occidente e in Asia minore. Il riferimento più antico al simbolo del “drago” in area asiatica è rintracciabile probabilmente nell’Enuma Elis, il testo sacro della mitologia babilonese. Tiāmat, madre di tutto il cosmo, viene raffigurata come un drago, assimilata al caos primordiale e legata con le potenze del mondo sotterraneo e marino. Dalla morte di questa figura mostruosa per mano del suo mitologico “nipote”, Marduk, si formano secondo il mito, il mondo, la terra e il mare. La radice asiatica di questo tema è confermata da Karol Kerényi nel suo Gli Dei e gli eroi della Grecia. Secondo il mitologo ungherese anche la storia della lotta di Zeus contro il drago Tifone “è una storia molto antica che né Esiodo, né coloro che hanno ampliato il suo poema sull’origine degli dèi, ci hanno voluto raccontare, ma che ci è ritornata dall’Asia Minore.” Anche questo “mitologema greco” narra di una battaglia percorsa da un forte “dualismo”, quello delle “forze olimpiche e celesti” contro le “potenze ctonie e telluriche” che nascono e dimorano nel fondo della Terra. Il drago Tifone nasce da Gea (la Madre Terra) dopo la sconfitta dei Titani e viene ucciso da Zeus a colpi di fulmini, dopo una cruenta battaglia. Più recente, sicuramente, il mitologema di Andromeda e Perseo celebrato da Euripide nella sua tragedia, andata perduta, Andromeda. Quest’ultimo, verosimilmente molto più vicino al tema agiografico narra di Andromeda, figlia di Cefeo re d’Etiopia e Cassiopea, rapita da un mostro marino. Narra Kerényi

“Perseo arrivò in volo ed uccise il mostro. Un’antica decorazione vascolare lo presenta mentre, lanciando pietre con tutte e due le mani, combatte contro il mostro che sta uscendo dal mare. Andromeda gli porge le pietre. L’Eroe l’ha liberata dalle catene.”

Una più approfondita lettura del misterioso simbolo del drago è rintracciabili nel capolavoro di V. Propp, Le radici storiche dei racconti di fate. In questo testo magistrale che si avvale di un’infinità di materiali raccolti in tutto il mondo, Propp compara le figure del drago così come si presentano in miti e favole di popoli cronologicamente e geograficamente molto distanti tra loro e ricostruisce la funzione e il significato di questo animale immaginario. Il primo dato che appare essenziale è legato all’ambivalenza del drago: da un lato, il drago è una figura mostruosa che esige delle vittime e contro il quale va condotta una lotta o un duello, ma dall’altro, la stessa figura appare come custode della soglia che divide il mondo dei vivi da quello dei morti, ma anche come elargitore di doni all’umanità, di facoltà magiche e di arti tecniche. Secondo Propp, la valenza positiva del drago precede quella negativa. Scrive l’autore russo:

“Questi animali fantastici sono il prodotto di una cultura tarda e perfino urbana, quando l’uomo aveva incominciato a perdere il legame intimo e organico con gli animali […] L’epoca di maggiore splendore di tali esseri è quella degli Stati antichi, Egitto, Babilonia, India antica, Grecia, Cina, dove il drago compare anche nello stemma, simboleggiando lo Stato. Al contrario esso non esiste presso i popoli veramente primitivi. […] Il drago è una combinazione meccanica di alcuni animali, è un fenomeno identico alle sfingi egiziane, ai centauri classici, ecc. Le figurazioni artistiche del drago mostrano che oltre al suo aspetto fondamentale (rettile + uccello) può esser formato di animali molto diversi, e che nella sua composizione entrano non soltanto il coccodrillo o la lucertola e l’uccello, ma anche la pantera, il leone, il caprone e altri animali, che egli consta di due, di tre, di quattro animali. [..] D’altro canto l’animale non è quello con cui l’uomo della città può avere a che fare, è un altro, è quello in cui si trasforma il defunto (serpente, verme, uccello), non fa parte della vita quotidiana, è ipostatizzato e misterioso […] Sono quelli che nessuno ha mai visto, ma che sono investiti di un potere misterioso, ultraterreno e straordinario. Così si formano gli esseri ibridi, uno dei quali è il drago. Se ora guardiamo da vicino la figura del drago (costituita sostanzialmente dal serpente + l’uccello) […] si può giungere alla conclusione che il drago è formato di due animali che rappresentano l’anima, cioè dall’uccello e dal serpente. In origine l’uomo che moriva poteva trasformarsi in qualsiasi animale, come è provato da numerosi documenti. Ma quando compaiono le rappresentazioni del paese della morte, questo paese comincia a localizzarsi o in alto sopra la terra, o al di là dell’orizzonte, o, al contrario, sotto terra. […] In corrispondenza con questo fatto si restringe il numero degli animali in cui il defunto può trasformarsi. Per i reami lontani nascono gli uccelli, per il regno sotterraneo i serpenti, i vermi e i rettili, tra i quali, a quanto pare, non si fanno differenze particolari. L’uccello e il serpente sono gli animali più consueti e diffusi che rappresentano l’anima ed essi si sono fusi nella figura del drago.”

Queste osservazioni appaiono molto interessanti. Nel tema della lotta di San Giorgio con il drago, il drago rappresenta “il male”, gli istinti più bassi e sporchi. Al contrario, se riconosciamo come vere queste considerazioni di Propp, la figura del drago è un composto degli animali che rappresentavano nell’antichità l’anima del defunto, principalmente il serpente e l’uccello. Cosa è successo nel frattempo? Come è stato possibile che un simbolo che rappresentava l’anima dei defunti sia diventato “emblema del male”?

Potrebbe darsi che la figura del drago sia stata esposta a quel fenomeno di “inversione iconografica” tipico dell’arte rinascimentale, ma certamente preparato già nel Medioevo, analizzato e descritto da Aby Warburg:

“Il riuso dei ‘prototipi’ antichi nel Rinascimento si basava certamente sul fatto che essi erano considerati come modelli insigniti dell’auctoritas derivante dalla classicità, ma non solo. D’altro canto non è neppure possibile affermare che gli artisti riutilizzassero le immagini di origine classica conservando sempre la consapevolezza del loro originario significato iconografico. Pittori e scultori intendevano piuttosto isolare, astraendoli dal loro contesto, figure particolarmente espressive e gesti caratteristici. – Secondo Warburg – “agli artisti del Rinascimento soprattutto interessava la carica espressiva delle figure classiche, capaci di veicolare con i loro movimenti intensificati “esperienze dell’emotività umana nell’intera gamma della sua tragica polarità dall’atteggiamento passivo della sofferenza fino a quello attivo della vittoria”.

Il motivo agiografico della lotta di San Giorgio con il drago non mirava, dunque, a porre solo l’enfasi sulla potenza salvifica del cristianesimo nei confronti del mondo pagano, ma ancor di più al “rovesciamento del valore iconografico” di un simbolo che per secoli, prima dell’avvento del cristianesimo, aveva rappresentato le potenze misteriose dell’anima dei defunti. Prima del cristianesimo, infatti, l’anima non veniva rappresentata con i caratteri di “purezza” e “celestialità” che i teologi della dogmatica medioevale poi le attribuì. Essa veniva descritta come una forza misteriosa, capace di compiere viaggi tra mondi differenti e dotata di una capacità di metamorfosi e di rigenerazione continua.

I caratteri del serpente e dell’uccello così intimamente connessi nella figura del drago rappresentavano una “dimensione animale” dell’anima che il cristianesimo non poteva accettare. Oltre ad Aby Warburg, anche Robert Graves, ha analizzato e descritto un fenomeno simile a quello dell’“inversione iconografica”, definendolo col termine di “iconotropia”:

“L’iconotropia è una tecnica di deliberato travisamento consistente nella distorsione del significato di antiche icone rituali al fine di sanzionare un profondo mutamento avvenuto nel sistema religioso esistente (di solito il passaggio da un sistema matriarcale a uno patriarcale), incorporando nei miti nuovi significati.”

Questi fenomeni di “iconotropia” o di “inversione iconografica” sembrano chiarire l’ambivalenza inerente il simbolo del drago nel suo decorso storico. La lotta di San Giorgio contro il drago, non rappresenta solo la lotta del cristianesimo contro l’Islam pagano. Il drago non è soltanto “bestia famelica e cattiva”, ma anche rappresentante di un rapporto, ritenuto perverso, tra mondo naturale e mondo spirituale. Combattere e sconfiggere il drago vuol dire allora distruggere il residuo naturale e terrestre dell’anima dell’uomo attraverso le armi dello “Spirito”. In questo modo, l’anima, viene separata dal simbolo con la quale era stata identificata, quel simbolo del serpente che prima di rappresentare “l’Avversario”, aveva raffigurato per secoli le potenze di metamorfosi e di rigenerazione della vita naturale nella quale l’uomo si sentiva incluso.

Erwin Rohde narra nel suo Psiche come nei pressi di Epidauro vi fosse una caverna nelle profondità della quale, sotto forma di serpente, dimorava Asclepio. Il mito del “medico divino” racconta che chiunque fosse afflitto da un qualche male poteva recarsi nell’antro per farsi curare dal figlio di Apollo. Gli uomini afflitti dal male dovevano addormentarsi e aspettare che Asclepio, sempre sotto forma di serpente, li avvolgesse nelle sue spire e attraverso quella pratica denominata “incubatio” rivolgesse loro delle cure miracolose. Nell’antichità questa pratica, diffusa in tutta l’area mediterranea, era il segno della potenza magico-religiosa che si attribuiva ai sogni e al mondo onirico nel suo insieme.

Il mondo onirico, a differenza del mondo della veglia, si fa custode dei simboli e del loro valore naturale e terrestre. Nel mondo onirico non possono esistere fenomeni, né “iconotropia”, né “inversione iconografica”, per questo l’incontro con gli animali, soprattutto con quelli più selvaggi e meno addomesticabili ha un forte potenziale di significato, tanto traumatico quanto salvifico. Se è vero, infatti, che nel sogno non possiamo difenderci con le armi della coscienza e della ragione, è altrettanto vero, però che il mondo onirico rappresenta la dimensione dell’esistenza dove a dominare è solo la facoltà immaginativa dell’uomo. Il mondo del sogno condivide con la sfera della mitologia, della letteratura e delle arti figurative una dimensione più potente e più libera dove i simboli non hanno semplicemente un valore psichico, ma rappresentano principalmente delle forze, delle “virtù” (virtù non morali). Come scrive Foucault:

“l’expérience onirique enveloppe […] toute une anthropologie de l’imagination; il exige une nouvelle définition des rapports du sens et du symbole, de l’image et de l’expression; bref, une nouvelle manière de concevoir comment se manifestent les significations.”

Questo lavoro di scoperta sulle modalità del “manifestarsi delle significazioni” è un lavoro che ci trasforma, perché attraverso di esso si può analizzare la necessità psico-fisiologica degli atti espressivi Nella dimensione onirica non incontriamo il mondo così com’è, ma facciamo esperienza di come questo si forma. Scrive ancora Foucault:

“Rêver n’est pas une autre façon de faire l’expérience d’un autre monde, c’est pour le sujet qui rêve la manière radicale de faire l’expérience de son monde, et si cette manière est à ce point radicale, c’est que l’existence ne s’y annonce pas comme étant le monde. Le rêve se situe à ce moment ultime où l’existence est encore son monde, aussitôt au-delà, dès l’aurore de l’éveil, déjà elle ne l’est plus.”

Nel sogno, come nella letteratura e nelle arti figurative, può succederci, infatti, di fare un’esperienza dell’immaginazione che è trasformativa. L’esperienza onirica si presenta in modo tale da rovesciare il tema del quadro di Paolo Uccello, non più la lotta di San Giorgio contro il drago, ma la lotta del Drago contro San Giorgio. Qui la potenza dell’immaginazione, che presenta spontaneamente le sue forme, riafferma il nostro essere situati nel dominio della natura allontanandoci da quel mondo della veglia che riduce la nostra vita a dati oggettivi e meramente razionali.

 

Francesco D’Achille, ricercatore indipendente.

“Ho conseguito il mio titolo di dottore di ricerca in Filosofia all’Università del Salento (Lecce-Italia) in co-tutela con l’École pratique des hautes études (Parigi-Francia). Mi sono occupato prevalentemente di filosofia contemporanea, mi sono specializzato sull’opera di Friedrich Nietzsche, ma nel tempo i miei interessi si sono spostati sempre più sullo studio della storia delle religioni e della scienza della mitologia, in rapporto ai materiali iconografici e iconologici. I miei autori di riferimento in questo campo sono A. Warburg, K. Kerényi, R. Graves, V. Propp, E. Rohde, J. J. Bachofen. Penso che lo studio della mitologia, della storia delle religioni, dell’iconologia applicato alla filosofia e alle scienze umane sia la chiave non solo per comprendere lo sviluppo storico della cultura occidentale, ma anche per afferrare l’intrinseca forza evolutiva dell’uomo custodita nella sua facoltà immaginativa.”